BRANIMIR RITONJA

PRISON

Il lavoro fotografico intitolato PRISON / PRIGIONE e’ basato sull’idea dei valori sociali odierni e sull’idea della percezione della libertà come uno dei valori più alti. Il concetto dell’artista deriva dalla domanda critica relativamente al concetto di violazione della legge. Infatti la realtà di una norma sociale non è  neutrale, ma è determinata dal contesto storico e sociale. Spesso anche una distanza critica dalla realtà (di un determinato contesto sociale), può essere interpretata come un’ offesa criminale. Negli anni tra il 1889 e il 1945 la prigione maschile di Maribor era piena di dissidenti politici, la cui colpevolezza probabilmente oggi sarebbe irrilevante, nel mutato contesto politico e sociale.

L’opera fotografica Prison, consiste nella rappresentazione delle celle della Prigione  di Maribor, oggi abbandonata, che appaiono simili, ma diverse, ripetute in maniera quasi ossessiva e che ricorda la noia dei giorni trascorsi in prigione dei condannati: una delle peggiori restrizioni della libertà umana.

L’autore ha fondato il suo lavoro sul  Panopticon di Bantham, un modello di carcere ideato nel 1791, che ha trasformato il principio della camera oscura (occultamento, oscurita’) in piena luce, ovvero rappresenta la sorveglianza continua, dove  la visibilità e’ una trappola.  Panopticon è un principio  che unisce l’opposto del vedere e dell’essere visto: al centro della sorveglianza le persone sono perfettamente visibili, al contrario quelle stesse persone non possono vedere nulla: dall’interno della torre centrale, dove è collocata la sorveglianza,  invece  si può vedere tutto senza essere visti (Foucault, 1984).

[12 stampe fotografiche a pigmenti di colore]

Il fotografo ha voluto rappresentare lo spazio vuoto della prigione abbandonata in modo da ricordare alla societa’ che il vuoto dell’esistenza viene amplificato dai metodi di controllo esercitati su di essa. Oppure, come ha evidenziato Foucault, tramite i metodi di sorveglianza che vengono applicati, la punizione eventualmente finisce per causare nel prigioniero il rifiuto della propria libertà. Con ciò, la responsabilità è completa e la privazione della libertà e’ totale.

Questo e’ il paradosso che  il  progetto Prison vuole evidenziare – Colpevolezza e Realta’ Costruite Socialmente .

La societa’ moderna non esiste senza metodi di sorveglianza e di punizione. La responsabilità che l’uomo si porta dentro si sè nell’attribuzione della libertà, dipende esclusivamente dalla volontà dell’individuo di concretizzarla o di sprecarla. In questo senso, la prigione e’ il luogo di definizione della responsabilità, che, con la perdita della libertà dell’individuo, riporta il soggetto al prigioniero. Branimir Ritonja analizza lo stesso punto di contatto, punto che connette punizione e libertà. La libertà  individuale, senza responsabilità sociale e personale, nel senso di ‘faccio ciò che voglio, e sono libero’ evidenzia i propri limiti. Se la mancanza di libertà nella forma di una sentenza di imprigionamento e’ ingiustificata, come possiamo notare per i cosiddetti prigionieri politici, il cui unico crimine e’ la differenza di opinione, in casi estremi di pura lotta per la sopravvivenza e’ persino volontaria.

La libertà come valore ha importanza quanto la vita umana. La lotta per la sopravvivenza negli strati piu’ poveri della società, in contrasto all’edonismo ed all’indipendenza dei capitali accumulati, nei tempi moderni non rappresenta più la stessa idea di libertà. Mentre la libertà dei poveri dipende dalla libertà dell’esistenza, la libertà dei ricchi capitalisti dipende dal profitto eccessivo fatto alle spese della restrizione della libertà di altri esseri umani.

Branimir Ritonja, nato nel 1961, si e’ laureato alla Facolta’ di Giustizia Criminale e Sicurezza. 2424ive e lavora a Maribor, come fotografo freelance. www.ritonja.com, branimir@ritonja.com

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The photo series titled PRISON is based on the idea of today’s social values, and on the idea and perception of freedom as one of the highest values. The artist’s concept derives from the critical question of breaking the law. Namely, the “reality” that occurs as a social norm is not a neutral reality as such, but always a concretely or historically determined social reality. A critical distance to the existing reality is often depreciated as a (criminal) offence. Between 1889 and 1945, the male prison in Maribor was filled with political dissidents, whose guilt would probably be irrelevant in today’s changed social and political sphere.
The concept of photographic works relates to prison cells in the abandoned Maribor Prison, which all appear the same but different, boringly repeated, which is reminiscent of the boring days of serving a prison sentence, which is one of the most severe types of restriction of human freedom.
The author based his work on Bantham’s Panopticon, which has turned the principle of the darkroom (concealment, darkness) into a full light representing constant surveillance. Visibility is a trap. “Panopticon is a machine combining the pair to see and to be seen: in the patrol ring, people are fully visible, however, they do not see anything; in the central tower, they see everything without ever being seen.” (Foucault, 1984)
The photographer is committed to the mission to commemorate the void space of the former prison in order to remind the society of the fact that the void of existence is magnificently upgraded with the methods of its control. Or, as Foucault pointed out, with suitable surveillance methods, the punishment eventually transforms into the convict’s rejection of his own freedom. With this, the responsibility is complete, and the loss of freedom is final.
This is a paradox which the project PRISON – Guilt and Socially Constructed Realities wishes to highlight.
Modern society does not exist without methods of surveillance and penalization. The responsibility that the man bears inside in the form of the attribute of freedom, depends exclusively on the will of the individual either to realize it or to exploit it. In this sense, prison is a place of assessment of responsibility which, with the loss of the individual’s freedom, reduces the subject to the prisoner. Branimir Ritonja addresses the same point of contact, the point of void that connects punishment and freedom. The individual’s freedom without social and personal responsibility results in the fact that its unbridled enforcement in the sense of “I do what I want, and I am free” produces the methods of its limitation. If the loss of freedom in the form of a prison sentence is unjustified, which we have seen with the so-called “political” prisoners whose only crime is a difference of opinion, in extreme cases of mere struggle for survival, it is even voluntary.
Freedom as a value is worth only as much as human life. The struggle for survival at the bottom of society in opposition to hedonism and self-sufficiency of accumulated capital in modern times no longer addresses the same idea of freedom. While the freedom of the poor depends on the freedom of existence, the freedom of the capitalist depends on the excess profit made at the expense of restricting the freedom of fellow human beings.
Branimir Ritonja, born in 1961, graduated at the Faculty of Criminal Justice and Security. He lives and works in Maribor as a freelance photographer. www.ritonja.com, branimir@ritonja.com